Il Coronavirus ci ha costretto a rivalutare le nostre priorità. Chiusi in casa per settimane, abbiamo dovuto fare i conti con la nostra condizione economica e con quella di tutto il Paese. Per molti, per fortuna, non è cambiato granché: lo smart working ha permesso di mandare avanti l’attività lavorativa, senza necessariamente mettere in pausa la carriera. Per altri, invece, le cose si sono messe male. Alcuni settori soffrono più degli altri a causa del lockdown, e continueranno a patire anche dopo la graduale riapertura.

Il Coronavirus mette a rischio 60 milioni di lavoratori: di questi l’80% non ha un titolo universitario. A dirlo è lo studio di McKinsey. La società di consulenza internazionale ha messo in luce la condizione critica di alcune categorie. Dall’analisi è emerso che il virus ha messo in grave difficoltà i professionisti senza laurea, con contratti a singhiozzo, senza alcun tipo di tutela e con bassi guadagni. Insomma, questo periodo nero per la storia dell’economia globale aumenterà il divario già esistente tra ricchi e poveri.

Non finisce qui. Ad essere nel mirino di licenziamenti, tagli di stipendi e di congedi sono gli impiegati nel settore delle vendite, del customer service, retail, ristorazione e turistico alberghiero, costruzioni, servizi alla comunità, arte e intrattenimento. Il rischio aumenta per i dipendenti più giovani.  A chi non ha svolto studi universitari si aggiungono i lavoratori tra i 15 e 24 anni, che hanno più probabilità di essere licenziati rispetto ai dipendenti appartenenti ad altre fasce d’età.

Minore il rischio per coloro che non lavorano a contatto con il pubblico o in prossimità degli altri colleghi: contabili, giornalisti, architetti sono al sicuro. Anche chi fornisce servizi sanitari o essenziali è al sicuro, anche se in questo caso ad essere messa a rischio è la salute.

E’ intermedio, invece, il rischio per chi lavora a contatto con altre persone ma non con il pubblico: operatori di macchine, lavoratori nelle costruzioni e psicologi.

Dopo aver esposto i dati per ogni comparto, lo studio conclude ribadendo il rischio per chi non ha un titolo accademico:

Il retail e il settore alberghiero e della ristorazione contano rispettivamente 14,6 milioni e 8,4 milioni di lavori a rischio: solo il 17% e il 14% dei dipendenti in questi comparti ha un titolo accademico. Diversamente, il 52% dei dipendenti nel settore dei servizi ha una laurea: un comparto che registra meno posti a rischio (1,6 milioni).