Siamo vicini all’unlocking, con la fase 2 torneremo gradualmente alla normalità. Una volta fuori casa nulla sarà come prima, la nostra confortevole routine non è lì pronta ad accoglierci con i suoi ritmi frenetici e rassicuranti. Dovremmo abituarci a nuove consuetudini, in cui la distanza sociale farà da sovrana.
Eppure il mondo lì fuori è stato fermo. A differenza di quello che è successo con il secondo conflitto mondiale, durante il quale tutto è andato distrutto, in questo caso il virus ha lasciato intatte fabbriche, industrie, trasporti, che sono lì ad aspettarci, certo con gli ingranaggi un po’ arruginiti, ma senza alcun segno di danneggiamento. Ad essere ferito, in realtà, è l’intero sistema produttivo che adesso deve ripartire.
Ma come riusciremo ad uscire dalla crisi? Qualsiasi tipo di previsione è azzardata, i metodi per avvicinarci al risanamento e i risultati ottenuti potranno essere valutati solo in corso d’opera. Nel frattempo possiamo guardare alla cultura del welfare aziendale come uno strumento che fa la differenza nella gestione e nel superamento dell’emergenza.
Prima del Covid-19 c’erano aziende che consideravano il welfare aziendale come qualcosa di totalmente strumentale, che dietro logiche welferiste nascondevano esigenze basiche e contingenti. Organizzazioni di questo tipo, che avevano in mente il welfare come veicolo dell’immagine aziendale, o come possibilità di poter governare la parte variabile dello stipendio, devono necessariamente cambiare strada.
Ben più fortunate saranno quelle aziende che consideravano il welfare come valore condiviso tra azienda, dipendenti e altri skateholder. Sono insomma quelle aziende che hanno investito sull’ascolto attivo delle esigenze dei propri dipendenti. Queste aziende saranno protagoniste nel rafforzamento del benessere dei lavoratori.
Ci si chiede se l’epidemia possa aumentare questa differenza tra i due tipi di aziende. Vista la situazione, per fortuna, è molto più probabile che le aziende del primo tipo modifichino l’approccio finora seguito, migliorando la propria cultura aziendale. Infatti, davanti alla criticità a cui è tutt’ora sottoposta la business continuity delle imprese, i datori di lavoro si sono resi conto di quale sforzo e di quale capacità operativa possono essere capaci i team aziendali realmente motivati.
Il segreto è proprio qui: serve una partecipazione attiva di tutta l’organizzazione. Andrà stipulato un nuovo patto, fondato sul rispetto della persona, con un occhio di riguardo alla tutela della salute. In questo modo tutti saranno coinvolti nel progetto di risanamento, che chiama a bordo ogni singola forza utile per raggiungere nuovi obiettivi. Questo tipo di atteggiamento porterà inevitabilmente a una modifica dell’immagine del lavoro finora presente in Italia.
La centralità della persona, che la pandemia ha esaltato, sembra destinata a non esaurirsi con il “post Covid-19”. S’intravede l’inizio di una nuova stagione di forte sviluppo della contrattazione aziendale e della partecipazione. Ancora una volta vale l’espressione insieme ce la faremo.